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Invasione russa: quali ricadute per l’auto

L’invasione di Putin in Ucraina ha conseguenze sia per gli automobilisti sia per i Costruttori.


Pur consapevoli di come nulla abbia senso di fronte ai bimbi che muoiono nella guerra fra Russia e Ucraina, il nostro dovere c’impone di analizzare le conseguenze dell’invasione di Putin nel settore automotive. Sotto due punti di vista: gli automobilisti e i Costruttori.


La guerra sta accrescendo le tensioni già presenti sui mercati energetici. Lunedì 28 febbraio il prezzo del gas naturale (metano) si è attestato sui 102,25 euro al Mwh (+10%), mentre il petrolio (brent) è ormai stabile sopra i 100 euro al barile.


A ora, il prezzo medio nazionale praticato della benzina in modalità self sale a 1,886 euro al litro. Per il diesel siamo a 1,76 euro al litro. Quanto al servito, si sfonda 2 euro. Ai livelli record del 2012: fare un pieno da 50 litri costa quasi 8 euro in più rispetto alla fine del 2021. Da inizio 2022, la benzina è aumentata dell’8,7%, il diesel del 9,8%. I prezzi praticati del GPL vanno da 0,821 a 0,835 euro al litro. Infine, il prezzo medio del metano auto si posiziona tra 1,749 e 1,882 euro.


La guerra è l’unica causa? Secondo gli analisti, no. Infatti, tutti i prezzi di tutti i carburanti stavano già salendo anche prima che Putin si muovesse. Per varie ragioni, fra cui la domanda più alta (specie dalla Cina) e la transizione energetica verso l’elettrico.



Travolti dal conflitto anche i Costruttori. In particolare, Volkswagen è stata costretta a sospendere per alcuni giorni la produzione presso gli impianti di Zwickau, Dresda e Wolfsburg: manca la componentistica. AvtoVaz del Gruppo Renault ha stoppato quasi tutte le attività in Russia. Il Produttore di pneumatici Nokian ha trasferito in Finlandia e USA la produzione di una fabbrica russa, mentre la nipponica Sumitomo ha fermato gli impianti ucraini.


Volvo ha bloccato le consegne di veicoli alle concessionarie russe per evitare qualsiasi rischio commerciale. Idem Aston Martin, General Motors, Honda, Jaguar Land Rover, Mitsubishi.


Ripercussioni pesanti per BMW, che ha azzerato la produzione della AvtoTor a Kaliningrad e le esportazioni verso la Russia; in più, sospensione delle attività di assemblaggio nei siti tedeschi di Dingolfing e Monaco di Baviera e della fabbricazione di motori a Steyr (Austria).


Porsche: chiusura temporanea di Lipsia a causa dei colli di bottiglia nelle forniture di componentistica. Ford ha informato il partner russo Sollers: attività ko in Russia. La Hyundai ha chiuso i cancelli del suo impianto di San Pietroburgo, mentre la Skoda ha limitato le attività produttive presso le fabbriche di Kaluga e Nižnij Novgorod. E Stellantis? Ha istituito apposite task force per valutare le conseguenze del conflitto.


Dopo l'annuncio dell'uscita di BP da Rosnef, anche Shell si sfila da Gazprom, incluse le partecipazioni del 27,5% nell'impianto di gas naturale liquefatto Sakhalin-II, del 50% nella Salym Petroleum Development e nell'impresa energetica di Gydan.

Nuove stime J.D. Power e LMC Automotive per le vendite globali nel 2022: solo 85,8 milioni di veicoli leggeri, 400.000 in meno rispetto alle previsioni precedenti.



Attenzione a quanto può accadere in futuro. Ci sono le sanzioni economiche di Unione Europea e Stati Uniti contro la Russia. Come reagirà Putin? Quali ritorsioni? Se chiudesse i rubinetti di gas e petrolio verso l’Europa, sarebbero dolori, specie per l’Italia. Approvato dal Consiglio dei ministri, il secondo decreto-legge sull’emergenza in Ucraina: introduce una serie di disposizioni per massimizzare la produzione delle centrali a carbone e a olio combustibile.


Obiettivo: ridurre i consumi di gas naturale per la generazione termoelettrica. Gli impianti dovranno rispettare i limiti di emissione stabiliti al livello europeo e non quelli nazionali più restrittivi. Paradossale: nella transizione elettrica, trionfa il vecchio carbone.


Nel caso, assegna a Terna il compito di programmare la massimizzazione dell’impiego delle centrali elettriche a carbone e a olio combustibile sopra i 300 MW per tutto il periodo dell’emergenza.


Potrebbero lavorare a pieno regime 6 centrali a carbone: le quattro centrali di Enel a Brindisi Sud (BR) da 2.640 MW, Torrevaldaliga Nord (RM) da 1.980 MW, Fusina (VE) da 1.280 MW e Sulcis (SU) da 340 MW. Più la centrale di Ep Produzione a Fiumesanto (SS) da 600 MW; la centrale di A2A a Monfalcone (GO) da 320 MW. La potenza complessiva a carbone, immediatamente utilizzabile, è quindi di 7.151 MW.


Intanto, è stato adottato il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI). Destinato a individuare le aree per lo svolgimento delle attività di prospezione e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale. Secondo stime di 10 anni fa, prima che venisse vietato ogni nuovo studio, nel sottosuolo d’Italia sono nascosti 1,8 miliardi di barili di petrolio e 350 miliardi di mq di gas. Quindi, carbone, petrolio e gas per l’emergenza.



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